2007
Questo lavoro intende criticare le posizioni che relegano l’arte ad un concetto elitario, che sobbarcano questa semplice parola di responsabilità assurde, discriminando l’opera umana, ed escludendo i “poveri mortali” dall’Olimpo degli “artisti”. L’arte è essenzialmente l’opera dell’uomo, in questo risiede la sua magnificenza. L’arte come viene comunemente intesa è la consacrazione, un tributo all’opera umana nelle sue infinite forme e valori. Unito a ciò rifiuto qualsiasi selezione arbitraria e aprioristica che stabilisca i parametri per definire ciò che è o non è arte, e quali sono e quali non sono i valori da riconoscere. Questa è dunque la mia provocazione: tutti facciamo arte, anche solo semplicemente svolgendo quelle azioni che ci garantiscono la sopravvivenza soddisfacendo i nostri bisogni primari: mangiare, bere, svolgere le funzioni fisiologiche e dormire. Questo intendono rappresentare i quadretti, usando lo stereotipo della cornice intendo identificare quelle azioni come “arte”. L’interattività nell’arte ha già inserito in passato il fruitore nell’opera, e è diventato la parte fondamentale affinché l’opera venga a compimento. La presunta postura china del fruitore dell’installazione (per guardare dentro il cubo), viene richiamata nella postura delle figure nei quadretti. Il fruitore guardando nel cubo compie la 5° azione (soddisfare la curiosità, forse un altro bisogno primario?), catturata dalla cam e proiettata dal monitor, anche essa entra a far parte dell’opera, e “etichettata” come arte. Lo specchio con i suoi significati, intende portare a questa consapevolezza, ad interrogarsi e, appunto, a riflettere. Infine il fruitore relazionato allo specchio viene ancora una volta messo nella condizione di artista: permetterà infatti di dare sfogo al proprio narcisismo, elemento fondante e imprescindibile, per molti artisti, per il loro creare arte.